domenica 30 marzo 2025

Tiro da tre punti, croce e delizia

Tiro da tre punti, croce e delizia: Dan Peterson ha aperto la discussione chiedendone l'abolizione. Della Valle, Ruzzier e Veronesi fanno fronte comune: abolendolo si darebbe molto più peso alla fisicità degli atleti

Generazioni a confronto sul canestro della discordia

di Giovanni Bocciero e Alvise Baldan*

 

1984, A LIVELLO INTERNAZIONALE viene introdotto il tiro da tre punti nella pallacanestro. L’arco semiellittico viene disegnato su ogni campo da gioco, e il tirare con conseguente realizzazione vale un punto in più rispetto al semplice appoggio al tabellone o al tiro dalla media distanza. Una novità, una evoluzione, con tutti i suoi pregi e difetti. Questa invenzione, in realtà, era già stata sperimentata anni prima negli Stati Uniti, in particolare al college. È da anni che si discute di un suo forte abuso, a discapito del gioco che rende il basket il più bello sport al mondo. Dan Peterson ha recentemente dichiarato che lo abolirebbe, e a riguardo abbiamo ascoltato giocatori e allenatori, attuali e del passato, che su questa affermazione sono ampiamente divisi.

Amedeo Della Valle

Cosa pensi in merito alla dichiarazione di Dan Peterson che abolirebbe il tiro da tre punti?

«Ci sta che ognuno dica la propria opinione. Secondo me, la sua è stata una sorta di provocazione che credo sia difficile possa trovare un seguito nel basket moderno. Se togliamo il tiro da tre punti, forse, molto probabilmente le partite diventano un susseguirsi di spallate vicino al canestro. Quindi è evidente che la pensi diversamente rispetto a questo argomento».

Da tiratore, cosa ti passa per la testa se realizzi un filotto di canestri da tre punti, o al contrario ne sbagli tanti di seguito?

«Chiaramente come per qualsiasi cosa, quando funziona e va bene è molto più facile continuare a farle. Quando invece diventa complicato è molto più difficile ripeterlo. Penso però, che la forza di un tiratore s veda proprio nel momento di difficoltà, nel continuare a tirare e non rifiutare conclusioni. Quello è il più grande segno di un eccellente tiratore, che può fare una serata da 8/8 ma può farne anche una da 0/8».

Quale potrebbe essere un aggiustamento per far incidere magari meno il tiro da tre punti?

«Ad oggi proverei innanzitutto ad allargare il campo, visto gli atleti che calcano i campi. La pallacanestro potrebbe giovare di questa modifica, ma non dobbiamo dimenticare che il gioco è in continua evoluzione. Infatti, oggi stiamo vivendo la fase del tiro da tre punti, in passato altri stili di gioco, e in futuro cambierà ancora in base alle tendenze del momento».

Michele Ruzzier

Dan Peterson abolirebbe il tiro da tre punti, tu cosa ne pensi?

«Io personalmente non lo abolirei, e non la trovo una cosa giusta perché è l’evoluzione della pallacanestro. Rappresenta per ogni squadra un’arma in più, a maggior ragione per la fisicità che si vede oggi su un campo. Un giocatore deve tirare per forza bene da tre punti per cercare di aprire le difese. Il basket è uno sport in continua evoluzione, completo così com’è con il tiro da tre punti».

Il tiro da tre punti è ormai trasversale, nel senso che è un’arma sia per un esterno che per un lungo?

«È un’arma sulla quale c’è bisogno comunque di lavorarci. E se diventi bravo, è giusto che la sfrutti a tuo vantaggio. Ed oggi non dipende neppure dai ruoli. Prima, magari, il tiro da tre era usato di più dalle guardie, ma oggi lo possono fare anche ragazzi di 2,20 metri. E credo che sia una cosa positiva, e non certo negativa».

Quanto influenza segnare o sbagliare una serie consecutiva di conclusioni?

«Non so esattamente in che percentuale, ma oltre all’allenamento il tiro è tanto mentale. Se segni una tripla e ti capita subito un altro tiro aperto, che è giusto, devi prenderlo assolutamente. Dall’altro lato, anche se ne hai sbagliati un paio prima, ma la squadra costruisce un buon tiro e la palla arriva a te, è comunque da prendere. Magari sentirai il pallone pesare un po’ di più, ma è certamente giusto tirare».

Hai giocato con Marco Belinelli, uno dei migliori tiratori italiani in assoluto, cosa ci puoi raccontare di lui?

«Quando ero alla Virtus lo guardavo con gli occhi a cuoricino, perché era davvero uno spettacolo vederlo anche solo in allenamento. Non l’ho mai visto fare esercizi particolari per allenare il suo tiro. Semplicemente ha una mentalità diversa, pensa di segnare ogni singolo tiro che prende. Questo fa di lui un pericolo costante, perché anche se ha sbagliato i tre tiri precedenti, prenderà il quarto con la stessa sicurezza di chi è in striscia positiva».

Giovanni Veronesi

Abolire il tiro da tre punti, per Peterson, gioverebbe al basket. Per te?

«È normale che rispetto al basket di Peterson oggi si giochi un’altra pallacanestro. Ci sono spaziature e situazioni diverse, complice l’evoluzione del gioco. Ovvio che non cambierei nulla».

Cos’è che differenzia un tiratore, che segni o sbagli?

«Per un tiratore è importante non perdere mai la fiducia, perché altrimenti non può neppure definirsi un tiratore. E infatti, ci sono tanti giocatori che hanno magari vissuto soltanto un periodo felice. Nel mio caso posso dire di avere avuto sempre grande fiducia, sia da parte di allenatori e compagni che a livello personale nei miei mezzi. Poi è naturale che ci sono momenti positivi e altri negativi, ma bisogna sempre avere il coraggio di continuare a tirare, senza esagerare».

Il tiro da tre punti serve più allo spettacolo che al gioco?

«Credo che bisogna fare una distinzione tra il basket che si vede in Nba e quello in Europa. In America effettivamente si tira tanto da tre punti, e il più delle volte in situazioni del tutto estemporanee al gioco. In Europa no, perché anche se si abusa del tiro da tre, questo rientra più in un contesto di costruzione del gioco. O almeno questo è il mio pensiero. Poi ovvio, se la pallacanestro ha un successo planetario ed è seguita in tutto il mondo è anche per giocatori come Steph Curry e Klay Thompson che sono tra i migliori interpreti del tiro da tre punti».

Valerio Bianchini

Qual è il suo pensiero riguardo all’uso del tiro da tre punti nella pallacanestro di oggi?

«Il tiro da tre punti lo ricordo addirittura come un’innovazione che fece l’Aba (American Basketball Association, lega professionistica americana di pallacanestro tra il 1967 ed il 1976, ndr), usandolo inizialmente in circostanze speciali, come per esempio cercare di recuperare alla fine della partita. All’inizio non era considerato un elemento istituzionale del gioco, era un elemento normale. Ricordo che nell’84/85 Mike D’Antoni, che normalmente non era un gran attaccante, grazie ai blocchi di Dino Meneghin cominciò a tirare con i piedi per terra perché i difensori uscivano poco, restando così schiacciati sul blocco. Iniziò così ad avere più coraggio, più iniziativa, diventando un tiratore dall’arco. Per molti anni il tiro da tre punti rimase utilizzato in certe circostanze, non nel modo ossessivo odierno. Addirittura anche i lunghi cominciarono, tramite il pick and roll, a preferire il tiro da più lontano piuttosto di un appoggio da dentro il pitturato. Questo sinceramente rende il gioco un po' noioso, ripetitivo. Gli allenatori hanno smesso di fare ricerca, di fare sperimentazione. Nel basket classico il gioco delle squadre in campo veniva immediatamente identificato per l'allenatore che lo governava. Per esempio il gioco di Guerrieri, di Zorzi, di Peterson. C'era molta più coerenza tra la teoria del gioco di un allenatore rispetto all’esecuzione in campo. Adesso, invece, c’è un’omologazione dove la maggior parte gioca allo stesso modo. C'è da dire, però, che la pallacanestro ha reso ancora più imprevedibile le partite. L’altra faccia di questa medaglia è che non c’è più meritocrazia, tu puoi giocare benissimo ma se hai scarse percentuali al tiro da tre perdi la partita contro uno che sta giocando male ma con buone percentuali da tre. A portare a questa deriva tecnica un po' insensata è stata la Fiba e il suo regolamento, perché il basket concettualmente è sempre stato un gioco che ogni quattro anni cambiava il suo regolamento. Il gioco si adeguava allo sviluppo sociale dell'area popolare in cui era inserito e variava soprattutto in relazione ai marchingegni tecnici. La Fiba si riduce a seguire l’Nba, ma senza una ragione. Nello smile, nei trenta secondi, nello stesso tiro da tre, non seguendola, però, nei tre secondi difensivi che sono importanti per consentire la penetrazione nell’uno contro uno. Attualmente il gioco si sta riducendo sempre di più all’uso scriteriato del pick and roll, alla cancellazione del lavoro in post, sia alto che basso, ed al rifugio nel tiro da tre. Certamente non è questo il vero basket».

Nelle sue esperienze tra Cantù e Roma, ha vinto due scudetti e due Coppe dei Campioni senza il tiro dalla lunga distanza. Dopo l’introduzione di questa nuova regola è stato più facile o più difficile allenare?

«È stato più facile allenare perché il tiro da tre era utilizzato senza, tuttavia, diventarne dipendenti. Adesso per gli allenatori è più facile. Non insegnano più i movimenti sofisticati del post basso ai pivot, per passare più volte la palla fuori per un tiro da tre. Dal punto di vista estetico è una cosa inguardabile, però la situazione è questa. Conta solo l’uno contro uno, il gesto spettacolare della superstar della squadra».

Ha un aneddoto da raccontarci legato al tiro da tre punti?

«Quello più clamoroso fu con la Virtus Roma, durante la stagione 1990/91, quando eravamo sotto di due punti contro Caserta ad un secondo dalla fine. Ricordo una rimessa a bordo campo per Maurizio Ragazzi che, ricevuta la palla a tre metri dalla nostra linea di fondo, segnò il canestro della vittoria».

Bogdan Tanjevic

Cosa ne pensa del tiro da tre punti?

«Il mio pensiero è molto simile a quello di Dan Peterson. Penso sia meglio il vecchio modo di giocare piuttosto che il continuo aumento del tiro dalla lunga distanza. Si è arrivati addirittura a parlare dell’inserimento del tiro da quattro. Negli ultimi vent’anni i giocatori sono diventati dei grandi tiratori e le distanze, soprattutto grazie all’atletismo, sono diventate facili da eseguire. In Nba fino a trent’anni fa esistevano solo tre o quattro tiratori nel campionato. Adesso sono diventati centocinquanta. Un pro può essere legato ai giocatori europei, un esempio di tecnica di tiro e di precisione che arrivarono ad un livello fantastico di capacità del tiro dalla lunga distanza. Dei contro, invece, possono essere il poco gioco sotto canestro, il mancato utilizzo dei pivot, le poche penetrazioni ed il tiro da quattro metri dei campioni come Jordan e Dalipagic. In passato i grandi tiratori non si concentravano esclusivamente sul tiro da tre punti e il gioco era molto più interessante, più affascinante. Adesso si è talmente fissati nel trovare qualcuno di libero fuori dall’arco, di scaricargli la palla anche quando sarebbe molto più intelligente segnare due punti sicuri. La linea dei tre punti la chiamo il “bordo della piscina”, come se ci fosse dell’acqua dentro. Non bisogna entrarci troppo. Questa furia di tirare e di correre in avanti non la vedo bene. Mi piace di più il basket di prima».

Il tiro da tre punti è diventato una sorta di arma offensiva, diciamo, troppo abusata, troppo utilizzata?

«Troppo abusata, non c'è dubbio. Si vedono molte squadre che tirano più da tre punti che da due. Così il gioco diventa meno attrattivo. In poche parole non bisogna focalizzarsi troppo sul tiro da tre. Per fare un esempio, quando Dalipagic segnò settanta punti lo fece con soli quattro canestri da tre punti in tutta la partita. Poteva tranquillamente essere il capocannoniere Nba, se ci fosse andato».

Antonello Riva

Qual è la sua opinione sul tiro da tre punti?

«Nei primi anni ci fu un grande clamore che richiamò tanta attenzione attorno a questa nuova regola, al nostro movimento.

Se poi, dopo tanto tempo, dobbiamo analizzare se è stato un pro o contro, i dubbi sono aumentati. Una cosa su tutti: il gioco è stato veramente stravolto e in maniera netta. Mi ricordo gli anni in cui giocavo a Milano quando era allenata da Mike D’Antoni. Lui sosteneva che statisticamente non conveniva andare a tirare da due ma conveniva tentare più tiri possibili dalla linea dell’arco. Ed è proprio questo, come stavo dicendo, che ha stravolto il modo di giocare. Il tiro da due, il cercare di andare vicino al canestro è praticamente quasi sparito. Poi, ecco, bisogna vedere se è effettivamente più spettacolare, più bello da vedersi oggi, o se era più bello un tempo quando non c’era il tiro da tre e si cercava di costruire maggiormente il gioco d'attacco».

Lei pensa, dunque, che sia diventato una sorta di arma offensiva un po' troppo abusata?

«Sì, in particolar modo perché questa linea non è così lontana dall’Nba. Vediamo diversi giocatori tirare da addirittura nove o ancora più metri. Mantenerla così com’è, oggi in Italia, è troppo utilizzata. Penso, tuttavia, che per lo spettacolo e per gli spettatori, vedere un tiro o un canestro da tre sia sempre un gesto tecnico spettacolare, anche se ha tolto un pochino la vera essenza, la vera sostanza della pallacanestro».

Se lei fosse un giocatore di questi tempi, si adatterebbe al modo di giocare attuale, ad un ritmo più elevato e a un numero maggiore di tiri da tre punti, o cercherebbe di rimanere al gioco di qualche anno fa, dove il tiro da tre punti non era così esasperato e si puntava un po' di più al gioco tecnico?

«No, è naturale che bisogna sempre adeguarsi ai tempi. Se fossi un giocatore di questi tempi mi adeguerei sicuramente alle nuove situazioni. Però vedo che alcune volte i giocatori, che potrebbero fare un arresto e tiro tranquillo dai tre, quattro metri, vanno dritti al ferro o cercano la soluzione nel tiro dalla lunga distanza. Negli anni passati, si utilizzava la finta da tre punti, un palleggio, due palleggi ed un arresto, ripeto a tre o quattro metri. Questo movimento oggi è sparito completamente».

Un’ultima domanda: ha un aneddoto su questo argomento da raccontare?

«Mi ricordo ancora benissimo la prima partita quando era appena entrato in vigore. Era la prima partita del campionato 1984/85, successivo alle Olimpiadi di Los Angeles, quando con Cantù andai a giocare a Pesaro che al tempo aveva un allenatore americano che si era messo a difendere a zona. Non mi sembrava vero e quel giorno realizzai nove o dieci canestri da tre punti. Da un momento all’altro ci aspettavamo che Pesaro passasse a difendere individualmente, invece continuò con la difesa a zona. Era la prima partita, la prima volta che venivano conteggiati i tiri al di là dell'arco. Era, in poche parole, una novità».

Nonostante le differenti posizioni, le statistiche ci possono offrire degli spunti interessanti. Perché non sempre tirare e segnare tanto ti permette di vincere. Trento e Varese, ad esempio, sono le due squadre della serie A che hanno terminato il maggior numero di partite con almeno dieci triple segnate, eppure le posizioni in classifica sono molto differenti. In media una giusta percentuale dall’arco che si può ritenere positiva è del 35%, che significa poco più di una realizzazione su tre tentativi. Eppure con due canestri su tre dalla media distanza o addirittura più vicino al canestro, e dunque con una probabilità maggiore di riuscire a segnare, frutterebbe 4 punti. Che batterebbero i 3 realizzati dall’arco.

* per la rivista Basket Magazine

giovedì 20 febbraio 2025

Italbasket, il coro azzurro del Poz promosso in toto ad Istanbul

 L’Italia vince ad Istanbul contro la Turchia per 80-67, brillando per coralità e gioco di squadra.

 

ITALIA

Dame Sarr 6: entra e perde un pallone in compartecipazione con Severini, ma si rifà subito con una schiacciata devastante.

Matteo Spagnolo 7,5: indica la strada nel primo e decisivo allungo, con grande sfrontatezza arriva al ferro.

Gabriele Procida 7,5: parte piano, lotta, conquista qualche rimbalzo, poi fa vedere di che classe è dotato e segna canestri bellissimi.

Saliou Niang sv

Grant Basile sv

Giordano Bortolani 7,5: con un attacco sterile, è la prima scelta del Poz, e lui dopo qualche forzatura mette punti a raffica.

Guglielmo Caruso 7: ottimo impatto, si muove bene e attacca gli spazi senza palla facendosi trovare pronto.

Mouhamet Diouf 7,5: prestazione solida sfiorando la doppia doppia (8 punti e 10 rimbalzi), spizzicando palloni e dando un punto di riferimento.

Riccardo Rossato 6: nel tempo in campo fa quello che gli riesce meglio, mettere tanta energia e difendere.

Luca Severini 5,5: l’unica nota stonata del coro azzurro, non incide ed è impalpabile.

Nicola Akele 7: tanta presenza, tanta energia, lucido in attacco ed in difesa, conquistandosi con merito ogni singolo secondo.

Alessandro Pajola 8: partita esemplare, da leader, da capitano, e con tre triple pesantissime che non sono proprio la specialità della casa.

All. Gianmarco Pozzecco 8: idee chiare, gioco semplice, tanto movimento senza palla che muove la difesa, e il diktat di attaccare gli spazi senza forzare il tiro da tre.


TURCHIA

Shane Larkin 5,5: spazzi di fenomeno nel primo quarto, poi si eclissa.

Sehmus Hazer 7: il migliore, quello più incisivo e forse che ci crede di più.

Cedi Osman 6,5: subito una bomba, macina punti ma non sembra efficace.

Onuralp Bitim 6: l’ultimo ad arrendersi o semplicemente nel posto giusto al momento giusto.

Sadik Emir Kabaca 5: tanti gli errori, pochissime le cose positive.

Furkan Haltali 5,5: subisce i lunghi italiani.

Sarper David Mutaf sv

Furkan Korkmaz 5,5: quasi non si vede, e non ci si crede.

Ercan Osmani 6,5: ci prova, si sbatte, tra i migliori nonostante tutto.

Erkan Yilmaz sv

Kenan Sipahi 5,5: si vede soprattutto all’inizio, poi scompare.

Muhsin Yasar sv

All. Ergin Ataman 5: nonostante i proclami della vigilia, la sua squadra sembra non esserci.

 

Giovanni Bocciero

domenica 15 dicembre 2024

L'uomo nuovo: Basile e la leggenda del bisnonno pescatore

Portato in Italia da Tortona, con Orzinuovi ed ora a Cantù si è imposto conquistando, con la cittadinanza, anche l'azzurro

Basile e la leggenda del bisnonno pescatore

Dall'emigrazione nel Wisconsin dell'avo palermitano, alla crescita in una grande famiglia di cestisti, all'incontro con Riccardo Fois che gli ha proposto un futuro da italiano. L'esordio da protagonista nel successo di Reykjavik della nazionale gli ha cambiato la carriera e propone nuovi interessanti scenari al club canturino. «Felice di aver ritrovato Brienza, orgoglioso della maglia azzurra». Ala forte o centro, punta sulla sua versatilità. «Posso migliorare, non è questo il momento di porsi limiti»


di Giovanni Bocciero*

 

SOLTANTO LO SCORSO MESE di ottobre si è aggiudicato il premio di Mvp straniero del campionato di serie A2 indossando la casacca di Cantù. Avendo però esordito nell’ultima finestra Fiba per le nazionali con la maglia azzurra, è diventato a tutti gli effetti italiano. Grant Basile è senza dubbio il cestista più chiacchierato di questo periodo in Italia. E con ragione, visto che può essere tanto utile alla nostra nazionale. Come ha già ampiamente dimostrato.

Innanzitutto però, va assimilato quanto prima l’italiano. «Lo sto imparando - ha detto ridacchiando il diretto interessato -, ma è difficile per me coniugare in maniera veloce i verbi. Cerco di ascoltare il più possibile e lo capisco se mi parlano piano. A tutti i tifosi posso solo dire che mi sto impegnando tanto per affrettare i tempi, ma devo ancora continuare a migliorare».


Proprio come sul parquet, perché Basile ha l’ambizione di diventare la miglior versione di sé stesso lungo i 28 metri per 15. «Ogni volta che avrò l'opportunità di giocare per la nazionale penso che sarà un onore. È qualcosa che spero di continuare a fare con grande soddisfazione. In Italia voglio scalare ogni vetta, e per adesso la priorità è vincere il campionato di A2. Sarebbe fantastico riuscirci, e vedere cosa mi aspetta l'anno prossimo. L’obiettivo è diventare il miglior giocatore che posso essere, così da aiutare i miei compagni a diventare una squadra vincente».

Provando a guardare già al futuro, questo gli varrà tanto per la nazionale quanto per il club. Una cosa è certa, lo potrà fare da giocatore italiano, uno status che cambierà completamente la sua carriera da adesso in poi. «Sì, certo. Ovviamente è di grande aiuto essere considerato e poter giocare da italiano. Sarà di sicuro molto utile per il prosieguo della mia carriera».

AVVOLGIAMO IL NASTRO DELLA STORIA. Il bisnonno Nicola, umile pescatore palermitano, circa un secolo fa emigra negli Stati Uniti e si stabilisce nel Wisconsin. La pallacanestro diventa subito lo sport di famiglia. Il nonno Gianluca si appassiona e si cimenta a fare l’allenatore. Papà Michael e mamma Lisa ci giocano, e quando il padre smette inizia anche lui ad allenare. Grant, che ha tre sorelle - di cui una gemella - e un fratello, ne segue le orme.

All’high school si ritrova proprio il papà come coach, che lo instrada anche se sembra non ce ne fosse bisogno. Infatti l’adolescente Grant si fa subito notare con la sua Pewaukee. Vince due titoli interstatali chiudendo le stagioni con una doppia doppia di media: prima 13.6 punti e 11.5 rimbalzi, poi 24.9 e 15. Piazza anche una incredibile prestazione da 29 punti e 23 rimbalzi, con tanto di canestro della vittoria, contro la Whitnall di un certo Tyler Herro.

Sbarca al college, va alla Wright State in Ohio, e in tre anni fa lievitare sempre di più le sue statistiche personali, contribuendo fattivamente alla storica qualificazione dei Raiders al primo turno del torneo Ncaa. Arriva però la sconfitta per mano di Arizona, nel cui staff tecnico c’è l’italiano Riccardo Fois. È questo il crocevia che apre nuovi orizzonti a Basile. Fois dal 2012 è negli Stati Uniti, diventa coach analist di Gonzaga e nel 2017 entra a far parte dello staff dell’Italia guidata da Ettore Messina con il duplice quanto strategico ruolo, per conto della Fip, di osservatore in America di giocatori dalle origini italiane.

Nel post partita i due parlano, il tecnico gli propone la possibilità di vestire l’azzurro che all’atleta stuzzica. È forse il colpo di fulmine. Vengono avviate le pratiche per ottenere la cittadinanza italiana, e nell’estate del 2023, dopo essere arrivato a Tortona, ha avuto il primo vero contatto con l’Italbasket. Ha infatti disputato le due amichevoli con il Green Team di coach Edoardo Casalone in Spagna, contro la selezione iberica. Due prestazioni da 19 punti e 11 rimbalzi.

E 19 sono stati anche i punti realizzati all’esordio assoluto con la nazionale maggiore nell’impegno ufficiale contro l’Islanda a Reykjavik. Una prima che da regolamento gli ha fatto acquisire lo status di italiano, pur non avendo la formazione classica che si guadagna attraverso il percorso del settore giovanile. Ma soprattutto un numero, il 19, che si ripete, e che neanche a farla apposta è il giorno della sua nascita.

UN SEGNO DEL DESTINO. «Sinceramente non me ne sono reso neanche conto - ha riflettuto l’italoamericano, che ovunque gioca indossa il numero 21, disponibilità permettendo -. Certo che è una cosa pazzesca, pensandoci adesso. Posso solo dire che con il Green Team è stata una bellissima esperienza. È stato fantastico poter conoscere e giocare con alcuni di quei ragazzi. L’ambiente in cui si gioca permette che succedano cose inaspettate, e per quanto riguarda la ricorrenza di quel preciso numero, dico che semplicemente a volte le cose funzionano perfettamente».

Nella pallacanestro moderna, Basile è considerato un lungo che può destreggiarsi tra l’ala grande ed il centro, sia perché è capace di aprire il campo con il tiro dall’arco, sia perché ha la stazza per marcare i lunghi avversari. Ma se glielo si chiede, risponde che «è probabilmente una delle cose migliori del mio gioco. Almeno credo. Il fatto di poter ricoprire entrambi i ruoli, a seconda dell'incontro, degli abbinamenti e in base alle situazioni, mi rende versatile. È qualcosa in cui eccello».

Si può dire che è dunque la versatilità la tua miglior qualità? «Penso proprio di sì. Come ho detto, è una grande abilità essere in grado di giocare sia dentro che fuori dall’area. Questo fa sì che le difese debbano fare fatica a capire come vogliono difendere, se decidere di marcarmi sul tiro oppure se scegliere di cambiare per evitare la penetrazione. Saper fare un po' di tutto in base alla zona del campo in cui mi trovo, è fondamentale».

Grant è un ragazzo semplice, ha la testa attaccata al collo e lo sguardo ben puntato sui suoi obiettivi. Come lo si vede, così è. Non ha infatti nessun talento nascosto. «Penso che in campo, ripeto, sono semplicemente un giocatore versatile in grado di fare un po' tutto, che si allena molto. Fuori dal campo invece, guardo tanta pallacanestro per apprendere e capire il più possibile. Non ho davvero abilità nascoste».

Se del ct Gianmarco Pozzecco apprezza la schiettezza, e soprattutto la sintonia che crea con i giocatori per il suo passato con le scarpette ai piedi, un comun denominatore della ancor primordiale avventura italiana di Basile è senz’altro coach Nicola Brienza. Il tecnico lo ha infatti prima allenato a Pistoia, ad inizio della passata stagione, mentre quest’anno lo ha fortemente voluto con sé nell’esperienza a Cantù. Pur spendendo un tesseramento da straniero.

«Lui è fantastico, è stato grandioso per me - ha detto con grande entusiasmo l’italoamericano - poter giocare per qualcuno con cui ho avvertito sin da subito grande familiarità. L'anno scorso è stato un anno molto duro, tanto che ho giocato per quattro squadre diverse». La stagione l’ha iniziata prima da aggregato a Tortona, poi è stato mandato in prestito a Pistoia. Poche fugaci apparizioni e il resto dell’anno l’ha trascorso ad Orzinuovi. Infine ha concluso nella lega estiva canadese con i Saskatchewan Rattlers.

«Questo ha rappresentato una sfida per me. Non avere stabilità è stato difficile. Però adesso è molto bello aver ritrovato un allenatore come Brienza. Stiamo parlando di uno dei migliori tecnici presenti in Italia, e non è un caso che abbia vinto proprio il premio di coach dell'anno nella passata stagione. È un allenatore dal grande talento, ed è fantastico poter giocare per lui».


LA SCELTA DI CANTÙ è stata ponderata attentamente dal giocatore e dal suo entourage. Tortona c’ha investito dall’inizio, e l’estate scorsa gli ha anche proposto un rinnovo del contratto. Cosa che per la verità sarebbe stato automatico se Basile avesse ottenuto lo status di italiano a giugno 2024. Forse il club piemontese sperava che ciò accadesse, e invece c’è stato bisogno di aspettare il mese di novembre. Di firmare ed essere mandato in prestito, seppur in serie A, non ne voleva sapere il ragazzo. Allettato da una sistemazione stabile, così come ci ha detto qualche riga più su.

E allora ecco che nel frattempo si è presentata Cantù, che ha deciso di puntarci forte proponendogli un ruolo da protagonista in una squadra di altissimo livello che ambisce alla promozione. E che adesso, vedendo lo status di Basile cambiare, può addirittura rafforzarsi sul mercato individuando uno straniero che può diventare la ciliegina sulla torta.

Sicuro è che Grant in Italia si sente a casa, e forse non solo per le sue radici. Da famiglia numerosa, ha scherzato sul fatto che il Natale lo festeggiava con cento persone a tavola, sottolineando quella tradizione tutta italiana. In campo, invece, porta quell’etica del lavoro appresa sin da giovanissimo agli ordini del padre-coach. Ma soprattutto, cerca di trasmettere ai compagni quella leadership che ne ha fatto addirittura materia di studio in un master frequentato all’università di Blacksburg.

Ma la Nba è un tuo obiettivo? «Penso che in questo momento la priorità è continuare a scalare il basket europeo - ha tagliato netto Basile -. Ho ancora molta strada da fare, ma non voglio pormi limiti a dove posso giocare. Adesso è fondamentale per me cercare di trovare il modo per vincere la serie A2 e, poi spero, riuscire ad avere un impatto in massima categoria. È in questo modo che voglio salire di livello come giocatore».

L'UOMO NUOVO

Nato il 19 aprile del 2000, a Pewaukee, nel Wisconsin, Grant Basile è un lungo dinamico e alquanto atletico di 206 cm per 107 kg. Portato in Italia da Tortona nella primavera del 2023, lo scorso anno ad Orzinuovi ha viaggiato a 20.9 punti, 9.7 rimbalzi e 1.7 stoppate in 21 presenze tra regular season e fase ad orologio. Quest’anno, sempre in serie A2, gioca per Cantù, ha 18.4 punti con il 60% da 2 ed il 36% da 3, 6.4 rimbalzi e 1.3 assist di media. Nell’ultimo anno di Ncaa, con Virginia Tech, ha avuto 16.4 punti e 5.4 rimbalzi a partita, facendo registrare due gare consecutive da 30 punti e addirittura tre in stagione, diventando il primo Hokie a riuscirci.


*per la rivista Basket Magazine


lunedì 25 novembre 2024

Italbasket convincente in Islanda ma festa rovinata a Reggio Emilia

Gli azzurri vincono e convincono in Islanda, ottimo l’esordio di Basile

Per la terza partita del girone di qualificazione ad Eurobasket 2025, l’Italbasket si è recata a Reykjavik per affrontare l’Islanda. Quarto confronto tra le due nazionali. Tra infortuni vari e indisponibili per l’Eurolega, gli azzurri si presentano in undici elementi, con tre esordienti in Basile, Rossato e Poser. In avvio il ct Pozzecco si affida all’esperienza di Spissu, Tessitori e Vitali, presenti anche due anni orsono nella sconfitta in terra scandinava con Hlinason protagonista con una prestazione da 34 punti, 21 rimbalzi e 5 stoppate.

Memori di quella gara, il piano partita sembra piuttosto chiaro: occupare l’area per non concedere spazio al centro islandese, con Tessitori che prova ad essere pericoloso dalla media e lunga distanza per portarlo fuori dal pitturato in difesa. La svolta del match arriva piuttosto presto, perché l’Italia alza l’intensità difensiva nella seconda metà del primo quarto costruendo il parziale da 19-0 anche per via delle scarse percentuali dalla distanza degli avversari. Le qualità di Basile e la grinta di Rossato emergono sin da subito, con Pozzecco che al 9’ ha mandato in campo già dieci giocatori differenti. Questo permette di tenere alta la concentrazione, ed è per questo che l’Italia raggiunge un vantaggio ben oltre i 20 punti (il massimo sul 23-49). All’intervallo sono nove gli azzurri ad aver segnato almeno 3 punti, con Bortolani migliore a quota 9 chirurgico da 2 (3/3) e meno da 3 (1/4). Ma è tutta la squadra che tira meglio da dentro l’arco (60%) che da fuori (31%), piuttosto in controtendenza oggigiorno.

Dopo l’intervallo è l’Islanda ad entrare in campo con maggiore energia e cattiveria agonistica. Gli azzurri in grande difficoltà sono comunque bravi a non concedere rimbalzi offensivi agli avversari (1 in tutto il match), che col parziale di 15-0 si fa pericolosamente sotto. L’Italbasket, con Pozzecco rimasto negli spogliatoi causa emicrania, perde completamente fluidità in attacco, sbattendo più e più volte contro il totem Hlinason. Dopo oltre 5’ di siccità, ci pensa Basile con la tripla a sbloccare la nazionale. Poi il lungo di Cantù è bravo ad aprire la scatola islandese attirando il centrone avversario fuori dall’area e arrivando velocemente a quota 15 punti. L’assistente Casalone si affida a Rossato ed Akele (che timbra una doppia doppia), e questi rispondono con un ottimo impatto tanto in attacco quanto in difesa. L’Islanda pur essendo un fiume in piena riesce a tornare fino al meno 9. Poi gli azzurri grazie ad una serie di recuperi corrono veloci in contropiede, e di fatto riaprono la forbice. Festeggia anche per Poser, che appena mette piede in campo trova i suoi primi punti in azzurro.

Vittoria convincente per l’Italia, considerando le tante assenze di oggi e i risultati di altre importanti nazionali. Finale 71-95 (qui il boxscore). Appuntamento adesso lunedì 25 novembre al PalaBagi di Reggio Emilia per il return match.

Giovanni Bocciero



Un’Islanda più affamata rovina la festa di Reggio Emilia

Non è stata una bella Italia quella che al PalaBigi di Reggio Emilia ha affrontato per il return match della finestra Fiba l’Islanda. Gli azzurri del ct Pozzecco sono stati battuti da degli avversari che hanno dimostrato di avere più fame e più voglia, con una qualificazione ad Eurobasket 2025 ancora tutta da conquistare. Spissu e compagni hanno iniziato contratti e non hanno mai trovato continuità. Rispetto al match giocato pochi giorni prima, gli scandinavi hanno tirato meglio, in particolare da 3. L’Italia ha cavalcato i reggiani, di nascita o acquisiti. Se Melli nei primi 20’ si è visto poco, molto poco, Vitali è stato il primo a far esplodere il palazzetto con il canestro che ha inaugurato la sfida. Ed ha continuato ad essere una delle poche note liete della prima frazione. Insieme ad Akele, che sull’onda lunga della gara di Reykjavik è stato tra i più propositivi e si è reso protagonista anche di una bella schiacciata. Giocata nata da una delle poche azioni corali delle quali si è fregiata la nazionale italiana prima dell’intervallo.

Appunto, c’è da scindere l’Italbasket del primo tempo da quella del secondo, che invece ha innescato molto bene Melli con i giochi a due di Spissu. In difesa invece, si è concesso molti meno rimbalzi offensivi, sui quali l’Islanda aveva costruito il +14. Ma gli islandesi sanno essere rognosi per davvero, e quando sono entrati in fiducia hanno trovato anche dei canestri dal difficile quoziente. Il Poz ha fatto ruotare dieci elementi nei primi 10’, facendo esordire anche Sarr, che ha sbagliato i liberi che gli sarebbero valsi i primi punti con la nazionale maggiore. Le triple di Ricci e Bortolani hanno permesso il sorpasso, poi ha saggiato il campo anche Tessitori, con Caruso che ha rimediato un n.e.

Ma le idee del ct sono state chiare: Ricci e Melli i titolari, Akele e Basile i principali rincalzi. E proprio la prestazione dell’italo-americano è la fotografia migliore per descrivere l’intera prestazione di squadra rispetto alla gara di pochi giorni fa. Sul finale gli azzurri si sono impigriti di nuovo, hanno rinunciato anche a qualche tiro aperto, e così l’Islanda è ritornata sul +14. Il finale ha visto commettere tutti gli errori da evitare, in particolare la concessione dei rimbalzi agli islandesi. Che di fatto, hanno dimostrato di avere più fame e dunque meritato la vittoria: 74-81.

QUI le statistiche del match

Giovanni Bocciero




giovedì 14 novembre 2024

Italbasket - Back to back con l'Islanda: solite difficoltà per l'Eurolega ma stride l'esclusione di Librizzi

 Sta per ritornare l’Italbasket del ct Gianmarco Pozzecco, chiamata al back to back contro l’Islanda in occasione della seconda finestra Fiba per le qualificazioni ad Eurobasket 2025. Che ricordiamo si disputerà in Lettonia, Polonia, Finlandia e Cipro dal 27 agosto al 14 settembre prossimi. L’obiettivo degli azzurri, centrando due vittorie, è quello di chiudere definitivamente il discorso qualificazione, considerando i successi già incamerati contro Turchia ed Ungheria che valgono il primo posto attuale. Per la doppia sfida all’Islanda, con il match d’andata in programma venerdì 22 novembre alle ore 20.30 italiane a Reykjavik, e il ritorno fissato per lunedì 25 ore 20.30 a Reggio Emilia, il Poz ha selezionato 23 giocatori. Di questi, 15 atleti saranno già a disposizione per il raduno al Centro di preparazione olimpica dell’Acqua Acetosa a Roma dal 18 al 25 novembre, mentre altri 8 azzurri provenienti dai club di Eurolega si aggiungeranno per la gara di Reggio Emilia.

Rispetto all’ultima partita in terra magiara, conclusasi con la vittoria dell’Italia per 62-83, sono 6 i giocatori che tornano ad indossare l’azzurro: Marco Spissu che sta facendo bene a Saragozza, Davide Casarin, Luca Severini, John Petrucelli, Amedeo Tessitori e Giordano Bortolani, questi ultimi due migliori marcatori per l’occasione con 12 punti a testa. Completano il roster Diego Flaccadori, Michele Vitali, le giovani promesse Saliou Niang e Grant Basile, gli esordienti a livello di nazionale senior Riccardo Rossato e Federico Poser, e le vecchie conoscenze Davide Moretti, Davide Alviti e Nicola Akele. Oltre a questi 15 atleti, saranno a disposizione del ct Pozzecco successivamente al match di Reykjavik, il capitano Nicolò Melli, i milanesi Stefano Tonut, Giampaolo Ricci e Guglielmo Caruso, i virtussini Achille Polonara, Momo Diouf e Alessandro Pajola, e l’astro nascente in forza al Barcellona Dame Sarr.

Era il febbraio del 2022 quando l’Italbasket dell’allora ct Meo Sacchetti affrontò l’Islanda. Ci si giocava la qualificazione al Mondiale del 2023, e dopo la sconfitta per 107-105 dopo due tempi supplementari in terra scandinava (Nico Mannion 23 punti e Michele Vitali 22), gli azzurri si rifecero al PalaDozza di Bologna per 95-87 (Amedeo Della Valle top scorer con 26 punti, seguito da Vitali e Mannion con 17 e 16). «Ci attendono due partite decisive e stimolanti - le parole di Pozzecco -. La storia recente ci insegna che l’Islanda è una formazione da non sottovalutare. Sono felice di poter vedere, soprattutto nella prima parte del raduno, giocatori che non ho mai conosciuto o che ho visto poco la scorsa estate. La contemporaneità dei calendari internazionali non ci permette di avere tutti i giocatori che avremmo voluto. Ringrazio le squadre che con entusiasmo hanno accolto le nostre richieste».

Impossibilitati a partecipare a questa finestra per le qualificazioni ad Eurobasket 2025, i golden boys Gabriele Procida e Matteo Spagnolo, grandi protagonisti nell’ultimo successo dell’Alba Berlino contro l’Olimpia Milano in Eurolega. La formazione berlinese, in grande difficoltà a causa di una lunga serie di infortuni, dovrà giocare giovedì 21 novembre a Madrid contro il Real. Così come Mannion, del quale Milano non si sarà voluta privare in vista dell’incontro sempre in programma il 21 al Forum contro il Maccabi. Assodato che ormai Della Valle non rientra nei piani del ct, e che se Simone Fontecchio è impegnato con i Detroit Pistons Danilo Gallinari sta cercando un ingaggio in Nba, tra gli esclusi non si può non evidenziare Matteo Librizzi, giovanissimo neo capitano di Varese in rampa di lancio che proprio nell’ultimo turno di campionato si è preso la scena con una prestazione monstre contro la Virtus Bologna.

 

Giovanni Bocciero