giovedì 12 gennaio 2017

Le radici della scuola casertana

Tanjevic: 'Gettammo le basi di un progetto che durasse'


di Giovanni Bocciero*


CASERTA - La scuola casertana di allenatori affonda radici ben prima all’ascesa di Marcelletti. «Credo che Franco sia figlio di Boscia Tanjevic - ha commentato Di Carlo -, che fece compiere il salto di qualità alla squadra. Il primo discepolo di quella mentalità fu realmente lui, e tutti noi che portiamo queste stimate, di cui io credo di essere l’ultimo erede, possiamo considerarci a nostra volta suoi figli».
Dunque si può considerare Marcelletti discepolo e maestro allo stesso tempo. E di conseguenza l’impronta che ha distinto la scuola casertana nel corso del tempo la si può far risalire all’hall of famer Tanjevic. «Con molta modestia credo che le basi di questa scuola casertana siano state gettate proprio negli anni in cui ho militato a Caserta - ha esordito il tecnico slavo -, nei quali si è deciso di puntare con decisione su di un progetto duraturo nel tempo. I vari Dell’Agnello, Esposito, Gentile, hanno iniziato da giocatori formandosi prima con me e poi con Marcelletti che ha proseguito in quel progetto. Gli abbiamo trasmesso indubbiamente qualcosa che gli ha permesso di emergere anche in questo ruolo».
BOSCIA TANJEVIC (FOTO BASKETNET.IT)
Ma cosa intravede Tanjevic nei suoi ex giocatori che li accomuna tutti a questa scuola? «Nel guardare le loro squadre giocare si vede una pallacanestro sensata. Si vede tantissimo in tutti loro questa somiglianza al modo di pensare, di scegliere i giocatori, di condurre la squadra, di comandarli, insomma la “mano del coach” che ha caratterizzato quei fantastici anni a Caserta. L’arte del comando - ha sottolineato il coach - è la cosa principale, ovvero essere capaci di guidare un gruppo di gente diversa, che deve pensare e sognare insieme. Questa è la caratteristica che accomuna me, Marcelletti, e tutti gli altri che facevano parte del nostro entourage».
Marcelletti ha comunque iniziato molto prima a svolgere il ruolo di allenatore, insieme all’amico e collega Virginio Bernardi, apprendendo ed ispirandosi anche ad altri modelli di coach. «Fin quando nessuno dei due era un allenatore affermato abbiamo spesso lavorano insieme alla JuveCaserta, dove allenavamo le giovanili. Ci confrontavamo, parlavamo, addirittura litigavamo quotidianamente della pallacanestro - ha raccontato il procuratore -. Prima dell’arrivo di Tanjevic e ancor prima di quello di Giovanni Gavagnin, che è stato il primo maestro di basket giunto a Caserta, ci siamo ispirati a due tecnici che non hanno avuto fama nazionale, ovvero i maddalonesi Ninotto Iodice e Guido Napolitano, oltre all’allenatore casertano per eccellenza che era Romano Piccolo. Successivamente a Napoli era passato un giocatore che era poi diventato allenatore, tale Miles Aiken, che aveva tante cose originali nei suoi allenamenti che io e Franco incuriositi andavamo a vedere rubando tempo all’università. Poi le nostre strade si sono divise, dato che lui è rimasto a Caserta sino alla vittoria dello scudetto mentre io già avevo guidato Desio e Brescia in Serie A. Le storie sono state parallele ma mai si sono intersecate, anche se l’amicizia e la stima non sono mai scomparse».
Questo viaggio raccontato da Bernardi fa capire ancor meglio l’inizio di questa scuola, mutata di certo nel tempo perché «onestamente dal punto di vista tecnico rivedo ben poco. Oggi si gioca un basket diverso, con spaziature e collaborazioni tra due o tre giocatori; prima invece si guardava alla precisione degli schemi in cui tutti fossero partecipi. Nel modo di gestire squadra e partita c’è sicuramente una matrice meridionalistica in Esposito e Di Carlo - ha riflettuto Bernardi -, nel senso che anche dopo un litigio forte basta una parola per tornare amici. Dell’Agnello è invece un po’ più freddo, però essendo stato un grande atleta riesce a stare nella testa dei suoi giocatori e capire un attimo prima cosa stanno pensando. Un allenatore che è nato allenatore, come Di Carlo, pensa subito ad una soluzione di natura tecnica e arriva a capire i giocatori un secondo dopo. Dell’Agnello ed Esposito oggi pensano con una doppia visione».




*per la rivista BASKET MAGAZINE

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