giovedì 12 gennaio 2017

La fabbrica dei coach casertani

Tutto cominciò con Franco Marcelletti
Tre allenatori oggi in Serie A, tanti altri che hanno lasciato il segno: ecco come all'ombra di Tanjevic, è nata e si è affermata la dynasty tecnica della JuveCaserta.


di Giovanni Bocciero*

LA JUVECASERTA ha fatto la storia della pallacanestro tricolore con lo scudetto del 1991 che risulta essere ancora oggi l’unico successo al di sotto della Capitale, e centrato con un gruppo del tutto autoctono dai tecnici ai giocatori. Proprio da quella formazione è nata un’autentica scuola casertana di allenatori, con Franco Marcelletti che ha vestito i panni del capostipite infondendo dettami tattici, tecnici ed organizzativi oltre all’indubbia passione, ad assistenti ed atleti. Adesso sono alla ribalta delle cronache i vari Sandro Dell’Agnello, Gennaro Di Carlo e Vincenzo Esposito, che stanno facendo davvero bene rispettivamente a Caserta, Capo d’Orlando e Pistoia, ma è doveroso ricordare tanti altri protagonisti che sono stati seduti su delle panchine della massima serie come Maurizio Bartocci e Nando Gentile, oltre a Giacomo Leonetti che è stato formatore a livello nazionale, Cristiano Fazzi e Luigi Corvo che hanno allenato nelle minors, e tanti altri che invece hanno ripiegato su piccole società pur di tenere vivo il personale rapporto con la pallacanestro, come Giacomantonio Tufano e Sergio Donadoni.
MARCELLETTI: "QUANDO IL BASKET DIVENTA MATERIA
DI VITA E SPORT CITTADINO PRODUCE
ALLENATORI E ATLETI DI GRANDE LIVELLO"
«Si è creata questa vera e propria scuola - ha esordito Marcelletti - e la testimonianza è che in una realtà come Caserta, quando il basket diventa una materia di vita e lo sport cittadino, questa produce giocatori, allenatori che a loro volta hanno svezzato altri giovani che sono poi diventati atleti di alto livello, ma anche dirigenti come Gino Guastaferro che ormai svolge questo ruolo in maniera professionistica. Questo è il grande merito di una città come Caserta». Adesso sotto la lente d’ingrandimento ci sono Esposito e Dell’Agnello, nei quali lo storico coach del tricolore vede «dal punto di vista caratteriale certamente il loro modo di allenare assomiglia moltissimo a quel gruppo meraviglioso che ha vinto lo scudetto. Da giocatori erano accomunati dal fatto di non mollare mai, di non trovare alibi nei momenti di difficoltà bensì il modo per superarli. Ad esempio Esposito in quel di Pistoia, con un roster totalmente rinnovato ed anche più debole di quello della passata stagione, sta dimostrando con il lavoro di superare la partenza difficile che ha avuto. Dell’Agnello invece sta facendo un campionato davvero di altissimo livello dopo tutte le difficoltà affrontate l’anno scorso. Questa caratteristica di sapersi adattare alla realtà nella quale vivono, e di provare a costruire con il lavoro in palestra senza attaccarsi a nessun tipo di scusa, è sicuramente ciò che maggiormente li identifica».
Ma qual è il segreto che ha permesso di dare vita a questa vera e propria scuola casertana? «Quello era un gruppo, una generazione, un periodo in cui tutti quei ragazzi vivevano la pallacanestro a 360° - ha rivelato ancora Marcelletti -. Oltre al ruolo che ricoprivano in quegli anni, che era evidentemente quello dell’atleta, vuoi della prima squadra o del settore giovanile, c’era alla base di tutto un amore sconfinato per questo sport, una passione che non morirà mai, che non ci abbandonerà e che avremo sempre dentro. E questo ci porta, tutti insieme, ad informarci, a vedere le partite, ad allenare. La spinta principale è dunque data da questi due fattori: l’amore e la passione». Aggettivi questi che, ai giorni nostri, sono sempre meno conosciuti perché «l’avvento del cosiddetto professionismo ha indubbiamente rovinato il romanticismo di questo sport - ha continuato l’esperto tecnico -. Giusto per fare un esempio, io oggi faccio fatica a trovare a Verona degli assistenti per il settore giovanile, e mi capita di imbattermi in persone che non hanno l’umiltà, il tempo e la voglia di imparare. Ai miei tempi uscivo di casa alle tre del pomeriggio e vi ritornavo alle dieci di sera dopo aver allenato tanti gruppi giovanili dal minibasket agli allievi, e non mi lamentavo».
MARCELLETTI: "ALLA BASE C'È L'AMORE E LA PASSIONE
PER QUESTO SPORT CHE IN QUELLA GRANDE SQUADRA
ERANO SENTIMENTI COMUNI A TUTTI NOI".
Tanti sono stati i giovani allenatori cresciuti all’ombra di Marcelletti, e diversi sono quelli arrivati ad allenare sino in massima serie. Ma qualcuno poteva mai credere anni addietro che ci sarebbero stati tre coach casertani, seppur uno d’adozione, contemporaneamente in Serie A? «Visto il livello che hanno raggiunto direi proprio che non me lo sarei aspettato - ha commentato l’allora direttore sportivo della JuveCaserta Giancarlo Sarti -, e va dato merito di questo soprattutto a Marcelletti che, lavorando sia in prima squadra che con il settore giovanile, ha fatto un grande lavoro con questi ragazzi. Si è trattata comunque di una crescita che ha coinvolto tutti, sono state fatte delle cose magnifiche che ci possono soltanto riempire d’orgoglio. Dell’Agnello, Esposito e Di Carlo sono delle grandissime sorprese, e stanno facendo senza dubbio un ottimo lavoro. Loro, ma in generale tutti quelli transitati per Caserta in quegli anni, hanno assimilato certamente qualcosa dalle varie esperienze avute con Franco, perché già solo stare a bordo campo ed ascoltare, guardare, rappresentava una lezione di basket. Pian piano sono maturati come allenatori, mettendo in atto ciò che hanno imparato per fare cose superbe».
Ma quanto ha influenzato nelle carriere di Gennaro Di Carlo, Vincenzo Esposito e Sandro Dell’Agnello il tecnico casertano per eccellenza? «Coach Marcelletti è stato per me un modello di allenatore - ha dichiarato Di Carlo -, non fosse altro perché lui era il tecnico della squadra dei miei sogni. Era il coach ideale, dal quale ho imparato che il capo allenatore non si deve interessare solo della prima squadra ma anche di tutta la struttura tecnica e societaria del club. Spesso lo si trovava a vedere gli allenamenti delle giovanili, allenare i vari gruppi a fine campionato, parlare e correggere gli istruttori. Un vero e proprio modello al quale io ho sempre fatto riferimento». «Franco mi ha influenzato tantissimo nel corso della mia carriera da allenatore - ha commentato Esposito -, perché l’ho avuto sin da quando giocavo nelle giovanili e dunque mi ha lasciato un segno davvero molto forte in tutto ciò che riguarda la pallacanestro». «I metodi di allenamento di Marcelletti hanno inciso molto in me - ha dichiarato Dell’Agnello -, perché è stato il tecnico che ho avuto per più anni quando ero giocatore, prima a Caserta e poi a Reggio Emilia. Da lui credo di aver appreso molto, essendo sicuramente uno dei migliori allenatori italiani».
SARTI: "NON MI ASPETTAVO CHE ARRIVASSERO COSÌ IN ALTO.
MERITO DI MARCELLETTI CHE FECE UN LAVORO ECCEZZIONALE
ANCHE CON LE GIOVANILI".

DI CARLO: "MARCELLETTI IL MIO MODELLO DI COACH".
ESPOSITO: "MI HA LASCIATO UN SEGNO MOLTO FORTE".
DELL'AGNELLO: "DA LUI HO APPRESO MOLTO".
E cosa invece hanno davvero emulato nel modo di allenare? «Marcelletti trasferiva tutta la sua grande passione, e soprattutto una sfida continua che alimentava nei confronti di quelle che erano considerate le squadre più forti dell’epoca - ha chiosato Di Carlo -, che si traduceva nell’abilità di dimostrare che eravamo sempre capaci di competere. Questa mentalità che si aveva a Caserta ho cercato di farla mia». «Sicuramente il lavoro quotidiano e la cura per i dettagli è una delle caratteristiche principali che lo distinguevano. Forse - ha continuato Esposito - anche in maniera piuttosto esagerata, ma è l’unico modo per tirare fuori, da giocatori normali, quel qualcosa in più che permette ad un atleta piccolo di sentirsi più alto». «Tutti e due, lui quando mi allenava e io quando giocavo, e adesso che io alleno - ha dichiarato Dell’Agnello -, abbiamo sempre avuto una smisurata ambizione di vincere sempre e comunque, chiunque fosse il nostro avversario».
Un pensiero particolare Marcelletti lo ha dedicato a Gentile, suo braccio armato sul parquet: «Nando sicuramente poteva ancora ricoprire un ruolo da head coach - ha chiosato il tecnico -, e sono convinto che possiede tutti gli strumenti per poter continuare a fare l’allenatore ad altissimo livello. Però, pur senza mettere alcun limite e considerando che oggi svolge un ruolo molto importante come responsabile del settore giovanile di Milano, il tornare ad allenare è una volontà che spetta unicamente a lui». L’ex playmaker della JuveCaserta si sente comunque assolutamente un figlio «di quella scuola casertana della quale Marcelletti è stato il primo, così come Virginio Bernardi. La caratteristica principale era che fossero tutti casertani, cresciuti in una società che puntava molto sui giovani e sugli istruttori del vivaio, e oggi fa indubbiamente piacere vedere tanti allenatori cresciuti in quell’ambiente allenare in massima serie». Cosa intravede nel lavoro dei suoi ex compagni? «Premesso che ognuno interpreta la pallacanestro in modo soggettivo, quello che maggiormente si nota è che tutti cercano di trasmettere il proprio carattere alla squadra. Questa impronta caratteriale, molto forte, fa sì che i giocatori assomiglino ai loro allenatori in tanti piccoli gesti». Cosa invece ha appreso, e messo in pratica quando allenava, Gentile da Marcelletti? «Più che la tecnica ho sempre cercato di ripetere il modo di gestire le cose che aveva Franco. Si tratta di quelle piccole sfumature del mestiere dell’allenatore, come gestire particolari situazioni e fasi di gioco, gestire il gruppo e il singolo, come rapportarsi con gli altri, tutte cose in cui lui è stato un maestro». Ma tornerà ad allenare? «Non credo».


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- RADICI


- MENTALITÀ


- OSCAR






*per la rivista BASKET MAGAZINE

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